mercoledì 6 luglio 2011

Alla vigilia del Consiglio Federale, che potrebbe prendere decisioni importanti sul futuro del Campionato Primavera, abbiamo raccolto il parere degli esperti. De Rossi (Roma), Samaden (Inter), Sartori (Chievo Verona), Piacentini (Corriere della Sera), Loria (Corriere dello Sport) e altri.

>> a cura di Marco

Battaglia e Marco Ferri

Riforma o rivoluzione? E’ previsto nei prossimi giorni il Consiglio Federale per discutere il futuro del Campionato Primavera. Dopo la precedente assemblea svolta lo scorso 29 aprile sotto la presidenza di Giancarlo Abete, il vicepresidente Demetrio Albertini si è soffermato sulle attività del Club Italia. Quattro i punti sui quali si è lavorato:
- riorganizzazione della struttura interna
- confronto con le Federazioni straniere
- rilancio delle Nazionali Giovanili
- codice etico
Al vaglio il rinforzo dello scouting giovanile, ampliando la rete di osservatori regionali ed il rilancio della Scuola Allenatori, al fine di aumentare la preparazione dei tecnici di base. Una delle proposte fondamentali è quella di abbassare i limiti di età nel Campionato Primavera dai 21 anni attuali ai 19. Accanto ad essa si staglia la proposta di far giocare una Rappresentativa Under 21 (fuori classifica) in un campionato professionistico come la B. C’è inoltre l’ipotesi del “modello spagnolo” con squadre B nel campionato cadetto. Noi abbiamo sentito il parere di alcuni esperti di settore per capire quali sono le reali esigenze del movimento calcistico giovanile.

ALBERTO DE ROSSI – Allenatore Primavera A.S. Roma

“Qualcosa di migliorabile c’è e sono decisamente d’accordo con la linea tracciata da Sacchi e dalla Federazione di abbassare di uno o due anni l’età. Noi lo stiamo facendo da sei stagioni e la nostra esperienza è la dimostrazione che si può fare bene seguendo questa strada che, per giunta, può fornire già all’Under 19 dei giocatori che militano in Lega Pro piuttosto che in Primavera. In questo modo si può annullare soprattutto il gap con le altre nazionali, che negli ultimi anni ci hanno superato non soltanto per l’immobilismo del sistema Primavera. Sono tante le componenti a creare difficoltà: dalla mentalità, all’ambiente, alle aspettative che si vengono a creare su ragazzi che muovono i primi passi nel mondo degli adulti. Valuto positivamente, in questa ottica, l’idea di creare un Under 21 che disputi la serie B o la Lega Pro, perché fornirebbe la possibilità di cimentarsi già in un campionato “vero” contro compagini che devono fare classifica. Sarei ancora più favorevole, tuttavia, alla creazione delle formazioni “B”, che rappresenterebbero un’autentica svolta nel panorama nostrano. Si tratta di una proposta più “difficile” e che richiederà un tempo maggiore per essere attuata e praticata, ma se negli altri Stati si fa, non capisco perché non si possa riprendere il modello. Abbassare l’età e più percorribile mentre per questa iniziativa occorre aprire per gradi. Il vantaggio però sarebbe doppio: da una parte si avrebbe la possibilità di “controllare” i ragazzi di prospettiva e dall’altra questi hanno l’opportunità di confrontarsi in un campionato livellato verso l’alto, che non sia più il De Martino (torneo riservato alle riserve) di una volta. Ci vuole informazione, tifosi che accettino lo sbaglio e coraggio nel voler innovare. Il calcio dei grandi ritiene che ci sia un enorme disparità tra la A e la Primavera, ed è una visione che ho riscontrato in molti allenatori con i quali ho avuto modo di confrontarmi. Vi posso assicurare che non è così e che si possa arrivare ad assottigliare questo gap con un rapporto sempre più stretto con dirigenti e nazionali, con lo scambio di idee e di opinioni con la Federazione e maturando la consapevolezza che gli investimenti nel settore giovanile non rappresentano uno sconquasso nei bilanci di una società”.

ROBERTO SAMADEN – Responsabile settore giovanile F.C Inter

“Sono pienamente d’accordo con la tesi sostenuta da Demetrio Albertini riguardo l’abbassamento d’età per il campionato Primavera. Bisogna trovare un modo per dare maggiori possibilità ai giovani altrimenti rischiamo di bruciarli e di abbassare il livello tecnico del nostro calcio che già non se la passa molto bene. L’abbassamento dell’età è secondo me un provvedimento che va preso subito: giocare fino a 21 anni in campionati “giovanili” vuol dire arrestare la crescita tecnica dei ragazzi. La Primavera dovrebbe avere una cadenza biennale, come avviene per tutte le altre categorie giovanili, magari con un paio di fuoriquota, ma comunque il percorso deve essere biennale. Parallelamente a ciò andrebbero introdotte le squadre “B” come avviene in molti campionati europei: in questo modo i ragazzi avrebbero la possibilità di confrontarsi con un campionato vero, dove possono migliorare tecnicamente ma soprattutto possono giocare con una certa continuità. Uno dei problemi riscontrati è infatti la poca continuità di gioco che i ragazzi sono costretti a subire nel momento in cui passano dalla Primavera alla prima squadra, così facendo arrestiamo la loro crescita tecnica. Mi meraviglia che molti club di Serie A siano contrari all’introduzione di squadre “B”: chi vuol bene ai giovani e al calcio in generale non può essere contrario a questo tipo di riforma. Mi sembra che comunque le intenzioni della Federazione vadano verso questa strada e già la riforma che interesserà a breve i campionati Allievi Nazionali ne è la dimostrazione: mi auguro che anche con la Primavera si faccia presto, non possiamo più aspettare, rischiamo di compromettere il lavoro dei settori giovanili”.

GIOVANNI SARTORI – Direttore Sportivo Chievo Verona

“L’augurio è che il futuro, indipendentemente dalla direzione che si voglia far prendere alla riforma, possa servire alla crescita dei giovani e a portarli ad essere pronti per i campionati professionistici. Questa deve rimanere l’essenza della Primavera. Senza ombra di dubbio la proposta di istituire una Rappresentativa Under 21 da far giocare in B è da valutare attentamente e non è da buttare via. Si tratta di un’idea che può aiutare a crescere quei ragazzi che hanno poco spazio nel loro club. Al contrario, ad una società come il Chievo non porterebbe alcun giovamento l’istituzione di una Lega con formazioni “B” sulla falsariga del modello spagnolo. Sarebbe deleterio per il budget perché significherebbe avere costi in più per allenamenti, staff e strutture. L’idea del sottoscritto, e del club per il quale lavoro, è che gli elementi migliori vadano immediatamente girati a squadre di serie inferiori per poterli riportare “a casa” in futuro. Purtroppo sono molte le istanze che verranno avanzate e non sarà facile accontentare tutti, specie perché il discorso legato ai fuoriquota è molto delicato. Tante società hanno esuberi che non possono star fermi e viene meno anche la ragione per il quale era stata pensata la norma, ossia quella di permettere agli infortunati di recuperare. Pensate ai tanti ’88 e ’89 nell’ultimo torneo, ormai troppo vecchi tanto per la Primavera quanto per la Lega Pro e che hanno rappresentato autentici problemi per tanti. Su questo punto bisognerà prestare particolare attenzione. E’ innegabile che le altre nazioni stiano crescendo non solo dal punto di vista tecnico, ma anche mentale dell'approccio al calcio e al professionismo. In Italia al di là di una recente carenza qualitativa si nota proprio che tanti ragazzi non hanno più la fame e la voglia di emergere come unico obiettivo. La ricetta per guarire? Tornare a investire di più sui vivai e non pensare che sia esclusivamente la prima squadra la motrice del treno”.

GIANLUCA PIACENTINI – Corriere della Sera

Lo stato di crisi in cui versa il calcio italiano è certificato dal fallimento in campo internazionale delle nostre squadre di club, ma la crisi assume dei contorni ancora più profondi analizzando i risultati delle nazionali giovanili. Mai come in questa stagione le nostre Under sono rimaste tagliate fuori da tutte le competizioni, e per questo la Figc sta studiando delle riforme che potrebbero cambiare profondamente la concezione del settore giovanile e, in futuro, quello del calcio italiano. Il problema principale è la dispersione dei giocatori, che arrivano fino alla Primavera e poi nella maggior parte dei casi non riescono a compiere il salto nel calcio dei grandi. Un problema che riguarda anche vivai importanti, che possono lavorare su grandi numeri, come quello della Roma. A mio avviso la prima cosa da fare, e la Federazione sembra orientata in questo senso, è abbassare l’età del campionato Primavera: dopo gli Allievi (altro campionato che andrebbe riformato perché così non ha senso vista la scarsa competitività dei gironi) i calciatori dovrebbero fare un solo anno di Primavera e poi essere ceduti in prestito a società di B o Lega Pro. Dopo questo primo passo, quello successivo dovrà essere l’iscrizione delle seconde squadre a campionati professionistici, sulla scia del modello spagnolo. Ogni anno ci sono decine di squadre che non hanno i requisiti per iscriversi ai campionati minori e le Leghe sono obbligate a ripescare società che non hanno maturato sul campo il diritto a giocarle, quelle competizioni. Introducendo le seconde squadre si potrebbe operare la riforma dei campionati di Lega Pro e allo stesso tempo valorizzare tutti quei giovani che altrimenti rischiano di perdersi. In attesa del nuovo Messi.

RICCARDO LORIA – Corriere dello Sport

Premesso che le difficoltà del calcio italiano derivano in larga parte da carenze strutturali e culturali (scarso investimento sui giovani, scarsa meritocrazia, prevalenza delle qualità atletiche su quelle tecniche), il momento più delicato per i giovani calciatori italiani rimane quello nel grande salto. Per intenderci il passaggio dai campionati di settore giovanile a quelli professionistici. Un tempo “l’andare a farsi le ossa” in Serie B o nelle categorie inferiori serviva ad attutire la difficoltà del salto. Oggi troppo spesso “andare a farsi le ossa” è sinonimo di stagioni trascorse tra panchina e tribuna. E’ per questo che la proposta di Demetrio Albertini di abbassare l’età massima per il campionato Primavera mi sembra insufficiente. Uscire a 19 anni dal settore giovanile anziché a 21 non facilita l’ingresso nel calcio professionistico, ma anzi rischia di far perdere ulteriore terreno ai nostri giovani. Piuttosto bisognerebbe trovare soluzioni per consentire ai ragazzi di confrontarsi realmente con le difficoltà del calcio dei grandi. In questo senso il modello spagnolo delle squadre B inserite nel campionato cadetto è sicuramente una fonte d’ispirazione valida e l’idea del vicepresidente federale di costituire una selezione Under 21 da inserire nei ranghi della Serie B può rappresentare un primo passo utile. Un altro fattore importante di crescita per i giovani calciatori può essere rappresentato dalla riforma del campionato Allievi, ristretto alle sole squadre di Serie A e B con conseguente innalzamento del livello di difficoltà del campionato stesso.

ENRICO FABBRO – Allenatore professionista di I Categoria

Nel nostro Paese tutto vuole essere riformato per adeguarsi ai nuovi tempi che stiamo vivendo e anche il mondo del calcio vorrebbe riformare il massimo campionato giovanile: il Campionato Primavera. Il Campionato Primavera è la fine del percorso di un calciatore che gioca in una società prof. Questo percorso inizia con un campionato giovanissimi di preparazione e un campionato giovanissimi nazionali di verifica, un campionato allievi di preparazione e uno di verifica. A diciassette anni ci si affaccia al campionato Primavera riservato ai soli club di A e B. L’idea di qualcuno sarebbe quella di abbassare il limite di età per i giocatori che partecipano a questo campionato, io non sono d’accordo e spiego i perché. Negli allenamenti della Primavera aumenta: la frequenza dell’allenamento (numero di sedute); il volume (quantità di lavoro svolto); l’intensità (velocità di esecuzione del carico). E ancora: l’altezza definitiva si raggiunge a 18-20 anni; fino a 20 non tutte le cartilagini si sono trasformate in osso; il massimo dello sviluppo muscolare viene raggiunto dopo i 20 anni. Il calcio italiano non tiene conto di questi parametri scientifici e oggettivi di un atleta e vorrebbe abbassare il limite di età. Prima questione: chi ha le competenze per dire con certezza (stiamo parlando d’investimenti economici importanti) a sviluppo fisiologico non completato, a un gruppo di calciatori comunque di livello tecnico importante, tu non sarai un calciatore professionista. Il tuo percorso finisce qui. Il giocatore Primavera che oggi termina il suo percorso di formazione cosa fa? Trova spazio nel suo club di A o B? No. Basta guardare le medie età dei calciatori. Giocherà in Lega Pro’, forse quei pochi che “fisicamente” e psicologicamente riescono a tenere il campo, per il resto tanta panchina e “minutaggio” che serve più ai club per recuperare denaro dalla Lega che per valorizzare concretamente il calciatore. La FIGC può anche abbassare l’età del Campionato Primavera e renderlo Under 19 a condizione però che ci sia un contenitore Under 21 dove il calciatore completi il suo sviluppo fisico, tecnico/tattico, si abitui alle competizioni importanti e respiri l’aria della prima squadra in maniera concreta. Non è un caso che la UEFA consideri il Campionato Under 21 l’ultimo campionato del Settore Giovanile. Se non vogliamo più perdere talenti che continuano la loro formazione all’estero e calciatori importanti che si perdono tra le difficoltà della Lega Pro’, dobbiamo aspettare, eccezioni a parte ovviamente, che lo sviluppo fisico e tecnico si completi, il tutto sotto il controllo di tecnici che abbiano le giuste competenza per lavorare nei settori giovanili però ma questo può essere il tema di una prossima riflessione.

IVANO STEFANELLI – Ex responsabile settore giovanile A.S. Roma

“La proposta di Albertini di portare da 21 a 19 l’età massima mi trova pienamente concorde. Non dobbiamo dimenticare che nella Primavera parliamo sempre di settore giovanile e quindi è necessario impostare un discorso di crescita e prospettiva per ragazzi e società. Il concetto deve essere sempre lo stesso: bisogna lavorare per fornire elementi alla prima squadra e se ci sono “prima fascia” vanno tenuti, mentre gli altri è giusto che maturino esperienza. In tal senso l’aumento dei fuoriquota rappresenterebbe un controsenso. Personalmente ho sempre ragionato con l’obiettivo di dover “costruire” un calciatore nell’arco di una stagione e non di vincere il campionato. Che stimoli avrebbe un fuoriquota a scendere contro giocatori più giovani? Diventa avvilente sia per lui che per gli altri che si allenano in settimana e poi finiscono in panchina. Attenzione anche a non farsi incantare dal modello spagnolo, tanto celebrato di recente. Creare una formazione “B” comporta un esborso notevole per la società ed è fondamentale capire che i risultati ottenuti oggi dal Barcellona, sono il frutto di lavoro di anni e anni, con investimenti e strutture poste davanti a tutto. Vi svelo un retroscena. Nel 2007, in occasione di una riunione dell’Uefa, ebbi modo di confrontarmi con i tecnici delle selezioni spagnole, che all’epoca avevano appena conquistato l’Europeo Under 19. Mi spiegarono come tanto i club quanto le nazionali seguissero le linee guida livello federale e con quanta cura si svolgessero le riunioni tecniche, con ragazzi, osservatori e allenatori. In Italia dovrà essere questo l’obiettivo. Si pensa ad una nazionale Under da far giocare in B? Ci può stare, a patto che si traccino delle linee guida e si studino tutte le variabili che permettano al giovane di migliorarsi, misurandosi con altre realtà. Bisogna iniziare ad investire fortemente sui vivai e capire che il budget non deve essere finalizzato al successo nell’immediato, ma ad una prospettiva futura”.

MARCO FERRI – Qualcio.com

Per arrestare l’emorragia dei risultati delle nazionali giovanili è doveroso passare attraverso una riforma che prenda in considerazione l’intero sistema dei vivai. Per tale ragione, al fine di evitare che l’innovazione si riveli una semplice passata di spugna, è necessario il coinvolgimento di tutte le categorie dell’agonistica. Riservare la trasformazione alla sola Primavera comporta il rischio di rendere la stessa una serie a sé stante, un compartimento stagno emarginato sia dal professionismo che dagli altri campionati delle giovanili. Le rivoluzioni, come è noto, partono dal basso. Ben venga in tal senso la ristrutturazione degli Allievi, volta ad alzare l’asticella della qualità pur “pestando i piedi” ad alcune realtà significative presenti in Lega Pro. Le proposte che verranno messe sul tavolo da Albertini e Sacchi sono da apprezzare e sottoscrivere. Per abbandonare lo stato di inerzia/conservatorismo che ha attanagliato il movimento italiano, risvegliatosi bruscamente solo dopo il mancato accesso dell’Under 21 di Casiraghi alla fase finale degli Europei (e con esso alle Olimpiadi di Londra 2012), bisogna puntare sul coraggio delle idee che la caratura delle “new-entry” in seno alla Federazione garantisce. Affinché il risanamento riesca ad abbracciare l’intero assetto, tuttavia, occorre pazientare qualche anno. Marcare un tratto di discontinuità col passato non equivale a plagiare affannosamente i modelli altrui, quello spagnolo su tutti. La storia recente ci insegna come le soluzioni affrettate non si siano rivelate altro che uno scialbo palliativo. Sono sotto gli occhi di tutti i risultati, tutt’altro che apprezzabili, del tanto cavalcato “modello britannico”, varato all’indomani della tragedia di Catania del 2007. E con il futuro dei nostri giovani è vietato scherzare.